Il Piccolo di Parma, diretto da Tullio Masotti, giornale di indirizzo liberal-democratico attivo dal maggio 1919, dopo un iniziale interesse verso il nascente movimento fascista, aveva assunto nel corso del 1921 una posizione fortemente antifascista. Le dure critiche mosse dal giornale verso le scelte attuate dal Fascio, avevano finito per attirare l’odio e gli strali del fascismo locale, che decise di saldare i conti durante i giorni di agosto del 1922.
Il 4 agosto, squadre fasciste assaltarono il giornale che aveva sede in borgo Riccio 24. All’interno uno dei redattori, Aroldo Lavagetto, raccontò l’accaduto sulle pagine del giornale, qualche giorno più tardi:
L’assalto al nostro giornale, che figurava come uno dei primi obbiettivi della invasione fascista, è avvenuto la mattina di venerdì, 4 corr. mese, alle ore 6,30; già dalle prime ore del mattino, pattuglie di camicie nere, regolarmente equipaggiate con fucili, mazze, rivoltelle, bombe, perlustravano sbocchi adiacenti di borgo Scacchini, impedendo agli strilloni di venire a rilevare il giornale. In tipografia erano alcuni operai, ed in redazione – in assenza del nostro Direttore che trovavasi fuori di Parma da una ventina di giorni – si trovavano i redattori.
Per quanto l’attacco al nostro giornale fosse certissimo, tuttavia si riteneva che il presidio di cento soldati e dieci guardie regie al comando di un tenente di fanteria, sarebbe bastato a sostenere qualsiasi urto. Questo criterio era naturalmente condiviso dalle autorità. Alle 6.30 qualche centinaio di camicie nere, comandate da Foschini di Mantova, penetrava in borgo Scacchini e si presentava dinanzi al portone della nostra sede. L’arresto della colonna è stato brevissimo. Foschini parlamentò col tenente al quale era commissionata la guardia dei nostri locali ed accendendo un cerino gli intimò di lasciarlo passare altrimenti avrebbe dato fuoco ad una bomba che teneva in mano. L’argomento è parso più che persuasivo per l’ufficiale che aveva cento uomini a sua disposizione, cosicché si decise a lasciare passare i fascisti. Quel che avvenne poi, è facile immaginarsi. Sotto gli occhi della forza, i fascisti dettero mano alla loro opera di devastazione. I mobili e le macchine da scrivere della redazione ed amministrazione furono fracassati. I ritratti di Battisti e Corridoni andarono in briciole. Il magazzino della carta fu incendiato. Le lynotipe furono ridotte a un ammasso contorto di rottami, ed i caratteri rovesciati e fusi nell’incendio. Le altre macchine per quanto avariate, tuttavia non rilevano danni irreparabili.
Compiuta la distruzione i fascisti si allontanarono cantando, e ad essi subentrarono i pompieri che dopo sforzi inauditi riuscivano a domare l’incendio. La notizia della devastazione del “Piccolo”, veniva portata alla stazione, dove continuavano a giungere bande armate, dal cav. Ronchini di Busseto che pilotava la sua automobile. L’odio che i fascisti nutrivano per il nostro giornale, non si era peraltro placato. Un’altra spedizione si preparava per fracassare quanto ancora rimaneva, bene o male, in piedi.
Questa notizia, risaputa da un nostro redattore, veniva comunicata al prefetto perché provvedesse a far presidiare le rovine. Il prefetto dava le più ampie rassicurazioni. Ma due ore dopo queste ampie rassicurazioni, un esiguo gruppo di fascisti rientrava nei locali del “Piccolo” e terminava la sua opera ricostruttrice, attaccandosi con furore alle ultime cose intatte, incendiano i rottami della amministrazione e della redazione.
(Come avvenne l’assalto al “Piccolo”, in “Il Piccolo”, 15 agosto 1922).
Non fu l’unico episodio del genere in quei giorni. Vennero assaltate e distrutte la sede del Circolo ferrovieri, quella del Partito popolare, le abitazioni e gli studi professionali di Tullio Masotti, degli avvocati Emilio Baracchini, Ugo Grossi, Gustavo Ghidini, Aurelio Candian, Francesco Pangrazi, Paolo Venturini, Ildebrando Cocconi, del rag. Augusto Argenzano e dell’ex on. Guido Albertelli.
Molti ritennero che dietro la distruzione delle abitazioni e degli studi professionali ci fosse la mano di Luigi Lusignani – anch’egli avvocato ed ex Sindaco di Parma, che all’avvento del fascismo aveva stretto forti legami con gli squadristi della Bassa parmense (Alcide Aimi) e con il ras di Cremona, Roberto Farinacci.