A partire dalla mezzanotte tra il 5 agosto e il 6 agosto, l’esercito assunse i pieni poteri. La smobilitazione fascista poteva avere inizio.
Alle 16.30 del 6 agosto, le squadre di camicie nere ancora presenti in città si adunarono in piazzale della Pilotta per ascoltare Italo Balbo che ne elogiò la disciplina e il coraggio, prima di dare l’ordine di smobilitazione. L’azione squadrista era fallita e il fascismo padano dovette registrare una sconfitta, la più clamorosa in quegli anni contraddistinti dalla sua dirompente ascesa, violenta e vittoriosa.
Di fronte agli sbarramenti compiuti dalle truppe – disse Balbo, secondo quanto riportato alla “Gazzetta di Parma” – i fascisti non intendevano aver conflitti con esse, perché l’esercito è l’unica cosa che sia rimasta sana ed intatta e ad esso i fascisti sono legati da profondi ricordi di guerra.
(Per il ritorno alla calma, in “Gazzetta di Parma”, 7 agosto 1922).
Dinanzi alla drammaticità della situazione che si era creata in città, la retorica nazionalista e di devozione all’Esercito serviva a salvare la faccia. Nei fatti, un massiccio e deciso tentativo di irruzione fascista avrebbe probabilmente ottenuto la conquista dei rioni popolari, ma a costo di una terribile strage. In questo senso, Balbo otteneva, forse, il risultato migliore, confermando le sua abilità di comandante e di mediatore: la proclamazione dello stato d’assedio e l’esautorazione del prefetto, segnavano un punto a favore dei fascisti che si sbarazzavano di esponenti del governo in larga parte ancora fedeli al regime liberale; per quanto riguardava gli Arditi del popolo e i rivoltosi dei rioni popolari, la resa dei conti era solo rinviata.
Balbo, dopo aver arringato i suoi, lasciava la città. La sua auto, mentre transitava da strada Garibaldi, veniva colpita da alcuni proiettili provenienti dai borghi del rione Trinità: l’ultimo beffardo saluto offertogli dalla città di Parma.
Anche le squadre fasciste lasciarono Parma nelle ore successive, sebbene non avessero nessuna intenzione di farlo pacificamente. Frustrati dalla sconfitta bruciante, gli squadristi diretti verso le provincie d’oltre Po sfogarono la propria rabbia sui paesi e sui villaggi che incontrarono lungo la via del ritorno. Fu soprattutto la Bassa parmense a pagare il prezzo il più caro: orde di camicie nere, guidate da Alcide Aimi, devastarono il cuore della cooperazione parmense, Fontanelle (Roccabianca), annientando così anni di duro lavoro degli uomini e delle donne che avevano creduto e lavorato al progetto di cooperazione integrale di Giovanni Faraboli.