Italo Balbo era giunto a Parma nella notte tra il 3 e il 4 agosto, fissando il proprio quartier generale presso l’Hotel Croce Bianca in piazzale della Steccata. Alle 9.45 del 4 agosto si recò in prefettura, accompagnato dal suo stato maggiore, per incontrare il prefetto della città, Federico Fusco. La riunione assunse toni drammatici, Balbo infatti pose un ultimatum: o la città tornava alla normalità entro mezzogiorno, oppure i fascisti si sarebbero sostituiti all’autorità dello Stato. Al termine della breve e concitata discussione, venne stabilito su richiesta del prefetto di spostare la richiesta del cessate il fuoco e dello smantellamento delle barricate – previo ritiro delle camicie nere – alle ore 14.00.
Dalle pagine del suo diario, Italo Balbo:
Alle 9.45 di stamane mi sono recato dal prefetto col mio stato maggiore. La visita ha avuto uno strano aspetto. Sono giunto alla prefettura scortato da una squadra di fascisti armati di moschetto al comando del dott. Moschini di Mantova: in tutto 100 uomini. Moschini li ha schierati per due di fronte innanzi al palazzo e durante il colloquio ha tenuto gli uomini col moschetto imbracciato, pronti all’assalto della prefettura, se fossero nate sorprese. […] Il prefetto si è fatto trovare circondato da una grande commissione di autorità politiche e militari: il suo capo di gabinetto, il questore, il generale Lodomez, il procuratore del Re, i rappresentanti delle amministrazioni comunale e provinciale di Parma.
Ho fatto al prefetto, in termini duri, una rapida esposizione dello stato delle cose. Ha dovuto ammettere il trinceramento dei sovversivi e la quiescenza del Governo. Ho messo allora le mia condizioni: per le ore 12 di oggi la vita della città avrebbe dovuto riprendere il suo normale aspetto; se entro quel termine non fossero state demolite le barricate, tolti i reticolati, sequestrati i moschetti, le mitragliatrici, le bombe, i tubi di gelatina, le armi offensive dei sovversivi, i fascisti, in ottemperanza agli ordini della Direzione del Partito, si sarebbero sostituiti alle autorità dello Stato.
Il prefetto, ritenuto breve questo termini, ha chiesto due ore di proroga. Col telefono stesso che era sul tavolo del prefetto, ho comunicato con Mussolini a Roma, mettendolo al corrente della situazione. E’ seguita una discussione serrata, durante la quale noi non abbiamo ceduto altro che per acconsentire due ore di proroga. […] Con questa intesa sono uscito e ho lanciato l’ordine di sospensione delle ostilità fino alle 14.
(Italo Balbo, Diario 1922, Mondadori, Milano, 1932, pp. 121-122).
La proposta di cessate il fuoco venne accolta dal Direttorio degli Arditi del popolo. Alle 14.00 il rione Trinità fu circondato dalle truppe dell’esercito. I soldati accolti con urla di gioia e grida di vittoria: “viva l’esercito proletario” e viva “i nostri fratelli soldati”. Il fascismo non era passato. Al colonnello Simondetti, che guidava la truppa, fu consegnato un documento, firmato da Picelli, nel quale si accettava la fine della mobilitazione e la rimozione delle barricate. L’Alleanza del Lavoro, nel frattempo faceva affiggere un manifesto di vittoria.
In una piazzetta dell’oltretorrente – scrive ancora Balbo – è stata scodellata ai soldati una polenta di 15 chili. Non sono mancati le musiche e i balli popolari. Il mistero di questa manifestazione di giubilo e di solidarietà con l’Esercito è stato subito svelato. Il prefetto Fusco è sceso a patti con gli arditi rossi di Picelli. Ha promesso loro che non appena i reparti dell’Esercito fossero entrati nell’oltretorrente, tutti i fascisti convenuti a Parma sarebbero partiti.
(Italo Balbo, Diario 1922, Mondadori, Milano, 1932, p. 124.
Le camicie nere che da giorni assediavano i rioni ribelli accolsero con stupore misto a delusione questa sorta di resa accomodante, che nascondeva, di fatto, il fallimento della spedizione su Parma.
Alle 18.00 Balbo si presentò nuovamente in prefettura, comunicando al prefetto che non gli riconosceva più nessuna autorità e che i fascisti avrebbero lasciato Parma solo quando i poteri fossero stati ceduti all’autorità militare. Il Comando fascista pubblicò un proprio ordine del giorno:
Le autorità si sono fatte giuocare dai bolscevichi scioperaioli. Si è tentato di dare alla cessazione delle ostilità un carattere di alleanza fra i soldati e i dimostranti, negatori della Patria. Se coloro che sono preposti alla tutela del più santo patrimonio ideale che ancora possediamo non lo sanno difendere, noi insorgiamo a difesa della dignità dell’Esercito vilipeso.
All’armi, o fascisti.
Riprendiamo la battaglia nel nome dell’Italia immortale.
La situazione rimaneva incerta. Nelle ore seguenti, mentre la presenza dei fascisti non solo non diminuiva, ma aumentava, la paura tornava a fare capolino tra gli abitanti dei rioni insorti. L’impasse fu risolto nella notte del 5 agosto, quando in città venne dichiarato lo stato d’assedio e i pieni poteri ceduti all’autorità militare, nella figura del generale Enrico Lodomez. Il 6 agosto iniziò la smobilitazione fascista.