Luogo: Piazzale della Pace (il palazzo oggi non esiste più)
Antica residenza ducale, dopo l’Unità d’Italia assunse il nome di “Palazzo del Governo” e ospitò la sede della Prefettura. In età liberale, la figura del prefetto era cruciale nella gestione dell’ordine pubblico, nonché longa manus del governo centrale per controllare le diverse province del Regno.
Nei primi anni Venti, durante i mesi in cui operò lo squadrismo nel parmense, si alternarono tre prefetti: Vittorio Serra Caracciolo, Enrico Palmieri e Francesco Fusco. Questi dovettero confrontarsi con una realtà complessa, mediare tra le diverse istanze politiche, mantenere l’ordine pubblico in una situazione di esasperata e quotidiana violenza politica. A pesare, tra le tante cose, era la penuria costante di uomini e mezzi, dinanzi al crescere degli scontri in provincia.
I rapporti col fascismo locale furono assai problematici; in questo senso il prefetto Palmieri, nei suoi mesi di servizio a Parma, fu oggetto di continui attacchi da parte dei capi fascisti locali, culminati con un lungo articolo in prima pagina sulla “Gazzetta di Parma”, a firma di Giuseppe Verdi – nipote dell’omonimo compositore – segretario del fascio di Busseto:
Non intendiamo tediarvi inutilmente Ecc., e non vogliamo nemmeno corrompere l’acusticità dei vostri timpani prefettizi addomesticati da lunghi mesi dalle sirene dell’arcipelago socialista parmense. […] Dal giorno che il direttissimo vi depose sotto la pensilina della stazione ferroviaria non ebbimo da voi che occhiate fosche e propositi truci.
(Una giusta protesa, in “Gazzetta di Parma”, 3 marzo 1922)
Al prefetto veniva rimproverata una fantomatica azione repressiva contro i fascisti, in realtà si trattava del tentativo di contenere la violenza fascista che dall’inizio del 1921 stava esplodendo in provincia, avendo come centro irradiatore proprio Busseto.
Poche settimane dopo l’articolo di Verdi, il prefetto Palmieri fu allontanato; al suo posto giunse a Parma Federico Fusco. Al prefetto Fusco toccò la gestione dei giorni delle barricate dei primi di agosto 1922. Anche in questo caso, il rapporto con i capi fascisti fu problematico. Italo Balbo, giunto in città nella notte del 3 agosto, nel suo diario lo definisce “un uomo nullo. Vero funzionario di Facta [allora presidente del Consiglio]”. La mattina del 4 agosto, Balbo si presentò presso il Palazzo del Governo per consegnare l’ultimatum al prefetto: o la città tornava alla normalità entro le 12.00 di quel giorno, oppure i fascisti si sarebbero sostituiti all’autorità pubblica.
L’ultimatum venne poi fissato alle 14.00 e fu rispettato grazie alla mediazione tra il prefetto Fusco e i rappresentanti delle organizzazioni che stavano animando le barricate. I modi di questo accordo, però, scontentarono Balbo: egli avrebbe infatti voluto che il prefetto agisse col pugno duro nei confronti dei rivoltosi, la resa concordata indeboliva invece l’immagine del fascismo. L’Alleanza del Lavoro, infatti, aveva subito pubblicato manifesti di vittoria, in quanto era stato raggiunto l’obiettivo di non far entrare i fascisti nei rioni popolari. Per tutti questi motivi, Balbo – nella riunione delle 18.00, in Prefettura – ruppe i rapporti col prefetto Fusco, non gli riconobbe più alcuna autorità e impose, in cambio della smobilitazione fascista, la cessione di tutti i poteri dal prefetto all’autorità militare, ovvero al generale Lodomez.
Dopo varie trattative, si giunse al trasferimento dei poteri all’autorità militare e alla promulgazione dello stato d’assedio, a partire dalla mezzanotte del 5 agosto. Questa soluzione permise di superare l’impasse. Il giorno dopo – 6 agosto – cominciò la smobilitazione fascista. L’assedio terminò alla mezzanotte del 16 agosto, quando l’autorità tornò nelle mani della Prefettura. In questi giorni, il prefetto Fusco e il generale Lodomez lavorarono per trovare una mediazione tra le parti, raggiungendo il 18 agosto un patto di pacificazione firmato da buona parte dei rappresentanti politici e istituzionali cittadini. Un documento che però non risolse la questione, anche perché non accettato da importanti settori del fascismo, oltre che dagli Arditi del Popolo, dall’Usp, dai comunisti e dalla Lega proletaria dei reduci, della quale Picelli era segretario.
In prossimità della marcia su Roma e della costituzione del primo governo Mussolini, anche Fusco fu allontanato da Parma: nel gennaio 1923 – dopo le brevi parentesi dei prefetti Umberto Rossi e Guido Podestà – l’incarico fu assegnato al filofascista Samuele Pugliese, non a caso battezzato da “La Fiamma”, periodico del fascio parmigiano, “il primo prefetto fascista del regno”. Pugliese avviò quindi una stagione di forte repressione contro l’antifascismo locale, che si concretizzò con numerosi arresti e con la chiusura delle due Camere del Lavoro principali della città.
Il Palazzo del Governo. Gravemente danneggiato nei bombardamenti del 1944, oggi non è più esistente. Nella foto è visibile il monumento a Vittorio Emanuele II, fatto saltare in aria da anonimi repubblicani nel giugno 1946. Al suo posto oggi troviamo il monumento al Partigiano.
Bibliografia:
- AA.VV., Dietro le barricate, Parma 1922, Step, Parma, 1983.
- AA.VV., Storia e documenti, semestrale dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma, 7, 2002.
- L. Brunazzi, Parma nel dopoguerra 1919-1920, Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma, Parma, 1981.
- I. Balbo, Diario 1922, Mondadori, Milano, 1932.
- R. Montali (a cura di), Le due città. Parma dal dopoguerra al fascismo (1919-1926), Silva editore, Parma, 2008
- M. Saija (a cura di), I prefetti italiani nella crisi dello stato liberale, vol. I, Giuffrè editore, Milano, 2001.