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Le barricate sono smantellate

Dopo la cessione dei poteri della città all’autorità militare, ebbe inizio la smobilitazione dei fascisti. Italo Balbo aveva lasciato la città e nei rioni popolari arrivava l’ordine di smantellare le barricate. Il generale Lodomez aveva dato tempo fino alle 18.00 del 7 agosto per completare la rimozione delle trincee e delle ostruzioni e ripristinare il libero accesso ai borghi e rioni coinvolti nella rivolta.

Nel pomeriggio del 6 agosto, truppe comandate dal colonnello Simondetti, dotate di autoblindate, mitragliatrici e da due cannoni da 75mm, entravano in Oltretorrente, passando dal ponte di Mezzo. Giunti presso la piazza della Rocchetta (attuale piazza Corridoni), i cannoni entrarono in azione sparando colpi a salve. Era il segnale che dava inizio alla demolizione delle barricate.

La situazione era tutt’altro che tranquilla. La popolazione dei rioni popolari temeva per la propria incolumità e per un possibile ritorno delle squadre fasciste. Gli Arditi del popolo mantennero lo stato d’emergenza e di certo non avevano alcuna intenzione di smobilitare. Nella notte tra il 6 e il 7, in città, diversi colpi d’arma da fuoco tennero svegli i parmigiani. La preoccupazione serpeggiava ancora nei borghi e nelle piazzette dell’Oltretorrente e della zona Saffi-Naviglio. La sensazione di non essere protetti a sufficienza da parte dell’esercito, nel caso di nuove incursioni fasciste, indusse alcuni abitanti dei rioni ad abbozzare di ripristino di qualche nuova barricata.

Piazza della Rocchetta, oggi piazza Corridoni. Nella seconda metà degli anni Venti la fontana fu sostituita dal monumento a Filippo Corridoni (Archivio storico comunale di Parma, fondo Zerbini).

Ma i fascisti avevano ormai lasciato la città, come comunicava l’8 sera il gen. Lodomez al Ministero degli Interni e come ricordò il segretario del Sindacato ferrovieri italiani, Leonida Bianchi, ai ferrovieri all’indomani dello sciopero:

Ora se ne sono andati. La calma è tornata: i lavoratori del moto sono tornati al faticoso lavoro sulle macchine, nei bagagliai, ai freni, lungo le linee, nelle stazioni, nelle officine. Ovunque si lavora e si produce, si attende il ritorno della pace nel lavoro per tutti.
Guai a coloro che ciò non intendono e che incitano alla rappresaglia contro i forti ferrovieri che intero hanno compiuto il loro dovere, per la difesa della vita, della libertà, per una grande umanità […].
Coloro che compresero la gravità della situazione, che accerchiati dai diecimila fascisti armati di tutto punto, come briganti – come ebbe a dire il Questore – coloro che dovevano difendere le loro case, le loro donne, i loro bambini; coloro che non intendevano essere massacrati per recarsi al lavoro; si trincerarono nelle loro case, nei loro borghi a difendere ciò che è di più sacro nella vita – la libertà. E tutti fecero il proprio dovere. E perché tutti fecero il proprio dovere i barbari non passarono.
(citato in: M. Minardi, Le “trincee del popolo”. Borgo del Naviglio, rione Trinità, Parma 1922, Ediesse, Roma, 2012).

Il direttorio degli Arditi del popolo, terminata la battaglia, inviò il seguente messaggio agli arditi dei rioni Naviglio e Saffi:

Ai valorosi arditi del popolo dei gruppi Naviglio e Saffi. Avete vinta la più terribile delle battaglie. Già temprati nella lotta e già provati al fuoco avete compiuto lo sforzo gigantesco con tutto il coraggio e con tutta la fede, circondandovi di gloria.
I vostri fratelli dell’Oltretorrente salutano in voi gli eroi del proletariato parmense. I compagni morti col sorriso negli occhi ed al canto dei nostri inni, passano alla storia segnando la pagina più bella!
I barbari davanti a voi hanno tremato e battuto vigliaccamente in ritirata. La grandezza, il coraggio e la fierezza vostra li ha offuscati, annientati. Ai fascisti, moderni Unni, assetati d’odio e di vendetta contro i proletari e contro coloro che professano idee di libertà, che distruggono case e massacrano vecchi, donne e bambini, avete insegnato come si muore e si vince. Il Naviglio trasformato in fortezza inespugnabile dai valorosi figli del Popolo, è ormai sacro perché bagnato di sangue generoso e tutta Italia proletaria vi guarda con l’animo pieno di ammirazione e di speranza. Ai martiri, agli eroi delle sei giornate, il nostro saluto.
(Le pagine più grandiose della storia del proletariato d’Italia, in “L’Ardito del popolo”, 1 ottobre 1922).

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