La battaglia a Parma entrava nelle sue ore più drammatiche: da poche ore l’Alleanza del Lavoro aveva revocato lo sciopero legalitario, che aveva dato esiti fallimentari quasi ovunque nel resto del Paese, mentre la violenza fascista si abbatteva sulle sedi dei partiti politici e dei sindacati di sinistra. In questo contesto giunse la telefonata con la quale il questore Signorile avvisava gli organizzatori della rivolta che Parma nuova era occupata da migliaia di fascisti armati, pronti a mettere a ferro e fuoco i borghi popolari. Il questore terminava la chiamata consigliando ai rivoltosi di desistere e di abbandonare la città, rendendo esplicito che la forza pubblica in caso di attacco squadrista avrebbe mantenuto un atteggiamento passivo.
Guido Picelli convocò quindi alle ore tre di notte il Direttorio degli Arditi del popolo, che aveva preso il comando della rivolta. L’incontro si tenne nei locali della Lega proletaria invalidi, mutilati e vedove di guerra, che aveva sede nella Camera confederale del Lavoro di via Imbriani 52. Presenti una trentina di persone, Picelli fece il punto della situazione, mentre dall’esterno giungevano rumori di spari e fucilate. I membri del Direttorio furono posti dinanzi alla scelta se arrendersi o continuare a resistere:
Questa volta il grido esplose da tutti i petti con veemenza tempestosa: “Resistere! Resistere!”. C’era forse bisogno di altre parole? uscito dalla finestra delle due stanzette a pianterreno della Lega proletaria, il grido fu ripreso dalla gente che, insonne, aspettava le decisioni del Direttorio nelle strade, passò di bocca in bocca, divenne la parola d’ordine di quella notte d’ansia. Tutti uscirono all’aperto e i capisettore si recarono subito ai posti di combattimento per dare inizio febbrilmente all’opera di fortificazione dei borghi.
Alle barricate! Alle armi!
(Mario De Micheli, Barricate a Parma, Liberia Feltrinelli di Parma, Parma, 1972, pp. 114-115).