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L’intervento del Vescovo, Mons. Conforti

Alle 14.30 del 5 agosto, il vescovo di Parma, mons. Guido Maria Conforti, si recò all’Hotel Croce Bianca in piazzale della Steccata, dove Italo Balbo aveva stabilito il proprio quartier generale, nel tentativo di giungere a qualche forma di pacificazione.

Dove sorgeva l'Hotel croce bianca, oggi è presente il palazzo Medioli, edificio che occupa l'intero isolato.

Hotel Croce Bianca, sede del comando fascista. Edificio distrutto nei bombardamenti del 1944.

L’incontro con Italo Balbo, non ebbe l’esito sperato. Nelle stesse ore infatti, si stava lavorando al passaggio dei poteri all’autorità militare, cosa che avvenne alla mezzanotte dello stesso giorno, soluzione che permise la smobilitazione dei fascisti a partire dal 6 agosto.

Balbo ha così trascritto nel suo diario l’incontro con il vescovo Conforti:

Sono stato avvisato che il Vescovo di Parma, monsignor Conforti, desidera farmi visita. Nell’atrio dell’albergo ho schierato gli ufficiali di servizio e di collegamento. Quando il Vescovo si è presentato sono scattati sull’attenti e il picchetto ha presentato le armi. Il Vescovo è passato attraverso una duplice schiera di militi che gli rendevano gli onori. L’ho ricevuto con tutto il mio stato maggiore. Al mio fianco gli onorevoli Buttafochi, Corgini, Lancellotti e Oviglio, giunto stamane. Il Vescovo ha dichiarato, con nobili parole, di mettere a disposizione tutta la sua autorità per un tentativo di pacificazione. Ho risposto esprimendo la nostra riconoscenza. Ci inchiniamo riverenti davanti all’alta autorità del Pastore. […] Nobilissimo è l’atto di pietoso interessamento del Vescovo: ma impossibile approfittare dell’offerta di pace. Non possiamo sgomberare Parma sinché non sono ristabilite le condizioni normali.
(Italo Balbo, Diario 1922, Mondadori, Milano, 1932, pp. 130-131)

Poche ore dopo l’incontro con il capo fascista, mons. Conforti, rivolse il seguente appello alla cittadinanza:

Come cittadino e come Vescovo, per l’affetto sincero che debbo al mio paese ed ai miei figli in Cristo, sento il bisogno ed il dovere di rivolgere indistintamente a tutti la mia parola in questo momento di lotte fraterne, che dividono la nostra Città in due campi, l’un contro l’altro armato.
E superiore ed estraneo ad ogni partito per la natura stessa del mio sacro ministero, dico a tutti in nome del bene comune: deponete le armi ed ogni atteggiamento bellicoso e fate sacrifizio degli odi scambievoli sopra l’altare della pace e della concordia per l’amore che dovete alla patria nostra, che ha estremo bisogno di tranquillità feconda dopo la prova immane, di recente sostenuta, per la sua indipendenza ed integrazione territoriale.
L’odio accumula odio, le rappresaglie provocano rappresaglie ed in luogo di por termine alle discordi, le acuiscono maggiormente, rendendo sempre più infelice la convicenza sociale. Che se riescono talvolta a comprimerle, per tempo più o meno lungo, lasciano poi sempre dopo di sé germi funesti di nuove e più sanguinose lotte: Pace, fratelli, pace!
La implorano i nostri morti valorosi, le lagrime inconsolabili di tante madri e spose, il benessere interno ed il prestigio all’estero dell’Italia nostra. Essa reclama imperiosamente dai suoi figli opera attiva di ricostruzione e tutti, al di sopra di uomini e di partiti debbono portarvi il loro efficace contributo. Non sarebbe “buon cittadino” chiunque vi si rifiutasse, perché tutti, o colle produzioni dell’ingegno o col lavoro della mano, sono tenuti in solido ad operare al bene comune. Ma quest’opera doverosa di ricostruzione non potrà mai avere il suo pieno svolgimento se non all’ombra benefica della pace, senza della quale a ben poco approderebbero le conquiste fatte a costo di tanto sangue.
A coloro poi che professano sinceramente la fede in Cristo, ricordo il precetto per eccellenza della carità fraterna, che non esclude dal proprio ambito neppure i nemici.
Ed in nome di questa carità generosa e forte, che ha cambiato aspetto al mondo prima in lotta permanente ed ha creato una nuova civiltà, la più splendida di tutte, io raccomando loro di fare opera sapiente di pacificazione, rendendosi così altamente benemeriti del nostro paese.
Il Signore benedica agli sforzi di quanti lavoreranno al conseguimento di questo nobilissimo scopo e riconduca tra di noi il sereno della pace nella tranquillità dell’ordine.
Parma, dal Palazzo Vescovile, 5 agosto 1922
(Appello del Vescovo, in “Gazzetta di Parma”, 7 agosto 1922).

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