Violenza Politica

Omicidio del fascista Vittorio Bergamaschi

Luogo: Busseto, via Ghirardelli

Nato a Besenzone (Piacenza) il 9 gennaio 1895, Vittorio Bergamaschi, detto Ventura, proveniva da una famiglia di grandi proprietari terrieri, le cui proprietà si estendevano tra Piacentino e Parmense. Tornato dalla guerra, per la quale era partito volontario, mantenne fin dall’inizio un atteggiamento intransigente nei confronti delle agitazioni sindacali che, nella zona, si susseguirono numerose. Durante uno di questi scioperi, l’11 ottobre 1919, un migliaio di scioperanti armati si diresse contro la “Casa bianca”, la tenuta della famiglia Bergamaschi a Besenzone, con l’obbiettivo di cacciare i crumiri reclutati per i lavori agricoli. Fu un vero e proprio assalto; nonostante l’intervento dei carabinieri, la folla invase la proprietà, senza però trovare prove di crumiraggio. Nel marasma generale, alcuni membri della famiglia, tra cui Vittorio, asserragliati in casa, aprirono il fuoco sugli scioperanti. Fu una carneficina: a terra rimasero cinque morti e diversi feriti[1]. I Bergamaschi furono arrestati e, poco dopo, assolti perché avevano agito per legittima difesa[2]. Non furono dello stesso avviso le organizzazioni dei lavoratori che «deliberarono all’unanimità di boicottare con le macchine e la mano d’opera in ogni lavoro i delinquenti Bergamaschi»[3]. Per tutto il 1920 fu battaglia aperta, con interventi continui da parte di socialisti contro quei crumiri che, aggirando il boicottaggio, svolgevano lavori per la “Casa bianca”[4]. Dinanzi a questo stato di cose, il richiamo del fascismo fu precoce per Vittorio Bergamaschi che ad aprile incontrò Mussolini a Milano e, verso la fine dell’anno, fondò il fascio di Busseto, paese in cui la famiglia aveva diverse proprietà, situato a pochi chilometri da Besenzone. Precursore del fascismo agrario parmense, dal gennaio del 1921, insieme ai fratelli si pose alla guida di decine di fascisti e organizzò azioni contro i socialisti bussetani che, dopo le ultime elezioni, amministravano il comune[5]. Nella notte tra il 6 e il 7 febbraio, al termine della festa da ballo di carnevale, Vittorio Bergamaschi fu ucciso in un agguato ordito da due socialisti: Luigi Braibanti, detto Ziton, autore materiale dell’omicidio, e Vito Cerri. Le ore successive furono concitate, i fascisti organizzarono una sorta di caccia all’uomo; negli scontri, che videro coinvolti anche i carabinieri, vi furono altri due morti: i socialisti Massimo Ugolini e Attilio Fragni[6]. Il delitto avvenne in via Ghirardelli, poco distante dal teatro Verdi, per ragioni che non furono realmente chiarite. Probabilmente aveva contribuito l’odio accumulato nei confronti della sua famiglia per i fatti dell’ottobre del 1919, forse fu una rappresaglia contro le azioni commesse da Ventura nel mese di gennaio o addirittura la conseguenza di rancori personali. Verosimilmente, l’insieme di questi fattori. Al di là delle dinamiche dell’agguato, la morte di Bergamaschi ebbe un effetto deflagrante per il fascismo parmense. «Primo Martire del Parmense e l’ottavo della Rivoluzione Fascista»[7], il suo “martirio” saldava definitivamente l’alleanza in provincia tra fascisti e agrari, categorie egualmente rappresentate dalla storia personale di Bergamaschi. Il fatto avveniva in un momento storico in cui la strada verso la reazione era già tracciata. Non sorprende, dunque, che il funerale di Bergamaschi sia considerato la prima grande manifestazione di forza degli squadristi nel Parmense che, per l’occasione, giunsero in paese in 2.000, provenienti da diverse province. Il sindaco socialista fu costretto ad esporre il tricolore abbrunato, mentre l’orazione funebre fu tenuta dal ras di Cremona, esponente di spicco della corrente radicale del fascismo, Roberto Farinacci[8]. Come riportò il deputato socialista Armando Bussi, in un rapporto inviato al Sottosegretariato degli Interni: in seguito a questo omicidio «i fascisti del luogo incominciarono a scorrazzare, armata mano, [tra] le contrade del paese, dando la caccia a tutti, sparando ovunque, minacciando, perquisendo, insultando, uccidendo»[9]. Busseto, dove tradizionalmente era prevalsa la media e grande proprietà terriera, si candidava a divenire capitale dello squadrismo parmense, sotto la guida del successore di Vittorio Bergamaschi, l’ex seminarista Alcide Aimi, e di Giuseppe Verdi.

[1] I morti furono Paolo Agnelli (capolega), Lodovico Antozzi, Giovanni Ferrari, Giuseppe Baldini e Giuseppe Viarolli.

[2] ACSP, Tribunale di Parma, Processi definiti dalla Corte di assise di Parma, 1921, b. 1178, fasc. “procedimento penale contro Braibanti Luigi”, Sentenza nella causa penale contro Bergamaschi Ferdinando, senza data.

[3] Ivi, Bersano di Besenzone: boicottaggio contro i Bergamaschi, senza data.

[4] Nella notte tra il 25 e il 26 settembre 1920, ad esempio, alcuni lavoratori «alle dipendenze della famiglia di Bergamaschi […] mentre trasportavano sopra dei carri trainati da cavalli […] dei pomodori diretti alla fabbrica di Zibello furono affrontati da un gruppo di leghisti appartenenti a partiti estremi, i quali con urla e spari di colpi di rivoltelle imposero loro di retrocedere in provincia di Piacenza». ACSP, Tribunale di Parma, Sentenze penali, 1922, b, 1472, Sentenza nella causa penale contro Pantrani Gino, 19 dicembre 1922.

[5] In una di queste azioni, nella notte tra il 4 e il 5 gennaio, i fascisti asportarono una bandiera rossa issata dai socialisti nella rocca del comune, dove avevano sede gli uffici comunali. La stessa fu ridotta a brandelli, riempita di scritte intimidatorie e inchiodata alla porta di un caffè di proprietà dell’assessore Luigi Dall’Olmo, ritrovo abituale dei socialisti. ACS, MI, PS, 1921, G1, b. 104, fasc. 220 “Parma, Fascio di combattimento”, Regia Prefettura della provincia di Parma, Rapporto indirizzato al Ministero dell’Interno, 31 gennaio 1921.

[6] ACSP, Tribunale di Parma, Processi definiti dalla Corte di assise di Parma, 1921, b. 1178, fasc. “procedimento penale contro Braibanti Luigi”, Relazione del Pm, 9 luglio 1921. Luigi Braibanti fu condannato a 16 anni, Vito Cerri a 10 anni, ridotti per indulto rispettivamente a 11 e 6. Cfr. Alla Corte d’Assisi, il processo per l’uccisione di Vittorio Bergamaschi a Busseto, in “Gazzetta di Parma”, 19 novembre 1923.

[7] Cit. Stefanini, Fiamme di riscossa e aurore d’Impero. Albo d’oro del fascismo parmense, p.15.

[8] Ivi, pp. 49-50.

[9] Il rapporto è riportato in Brunazzi, Parma nel primo dopoguerra, 1919-1920, pp. 114-118.

Condividi su :

Twitter
Telegram
WhatsApp

Torna alla mappa principale

Altre Violenze